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KirK Odom, ingiustamente condannato per violenza sessuale e scagionato grazie alla prova del DNA

Nella foto, Kirk Odom a casa, circondata da fotografie di famiglia.

La storia di KirK Odom

Il 3 aprile 1981 Kirk Odom camminava vicino alla sua casa a Washington quando fu arrestato da un ufficiale di polizia. Odom non aveva fatto nulla. Era un 18enne che cercava di crescere la figlia Katrice, che aveva meno di un anno.

L’ufficiale tiro’ fuori dalla tasca un disegno di un nero non identificato e invitò Odom ad affermare che la persona del disegno era lui. “Ho detto,” No, non mi sembra”, ricorda Odom. L’ufficiale prese il nome e l’indirizzo dell’adolescente, prima che scappasse verso casa, pensando che tutto fosse finito. Ma non era la fine. Pochi giorni dopo Odom fu arrestato e accusato di un caso di stupro.

Due mesi prima una giovane donna era stata sodomizzata e violentata da un uomo, nel proprio appartamento, prima che questo scappasse con 400 dollari in Travel Checks. La vittima vide il violentatore solo nel buio, e il disegno fatto dall’ufficiale di polizia si riferiva a un generico maschio nero di “media carnagione”.

Odom, di pelle nera molto scura, aveva anche un alibi convincente: aveva dormito a casa della madre al momento dell’attacco.

Kirk Odom, il ritratto fatto dalla Polizia nel 1981
Kirk Odom, il ritratto fatto dalla Polizia nel 1981

Con tante incertezze e un buon alibi, Odom pensava che le autorità avrebbero presto avrebbero capito il loro errore e che l’incubo sarebbe finito in fretta: “Non pensavo che qualcosa sarebbe andato storto, perché non avevo fatto niente”, dice Odom.

Ma i procuratori avevano un capello, un singolo capello “nero” trovato sulla camicia da notte della vittima, che doveva provenire dal violentatore.

L’agente speciale Myron T Scholberg, dell’Ufficio federale, disse alla giuria che in qualita’ di esperto mondiale nella scienza della microscopia dei capelli, poteva affermare senza ombra di dubbio che quei capelli provenivano dalla testa di Odom.

Sulla base quel singolo capello, Kirk Odom fu accusato fu dichiarato colpevole e condannato.

La testimonianza di Scholberg: non era scienza

Il problema era che la testimonianza di Scholberg non era scientifica. Nel 2009, dopo che Odom aveva trascorso 28 anni di carcere, il Consiglio Nazionale delle Ricerche rilascio’ una relazione importante nella pratica dell’analisi forense negli Stati Uniti: in poche parole, non si puo’ dimostrare su base statistica o probabile la corrispondenza tra due campioni di capelli.

Kirk Odom, ingiustamente condannato e liberato grazie alla prova del DNA
Kirk Odom, ingiustamente condannato e liberato grazie alla prova del DNA

Dopo questa dichiarazione del 2009, la prova con la quale Odom era stato accusato, era un “pura fantasia”.

Solo dal 2012, a distanza di oltre 30 anni da quel terribile 1981, Odom che dal 2003 era in liberta’ vigilata, fu formalmente libero. Grazie all’avvocato Sandra Levick che fece riaprire il caso e che, grazie al test del DNA, riusci’ a farlo dichiarare innocente ecompletamente estraneo alla vicenda di cui era stato accusato.

Odom, che oggi è sposato, che ha avviato un’attività di rimozione chiamata Harriet & Kirk Moving Company e che ha ricostruito il suo rapporto con la figlia Katrice, dice: “Voglio solo continuare a raccontare la mia storia a chiunque la voglia ascoltare”, ha detto, “nella speranza che possa aiutare chi e’ ancora dietro le sbarre ingiustamente”.

Cosa direbbe a Scholberg se lo incontrasse? Odom, sorridendo, disse: “Penso che chiederei delle scuse.” Perche’ nessuno, dice gli ha chiesto scusa: non sono arrivate scuse da Scholberg, dai capi di Scholberg, dal laboratorio dell’FBI, dal direttore dell’FBI, dai procuratori, dal giudici, dal dipartimento di giustizia, dal presidente Obama. Purtroppo.

L’analisi del DNA come prova

La prima volta che il DNA è stato utilizzato come prova negli Stati Uniti è stato in Florida, nel 1987, nel processo di un rapitore serial. Testimone per la veridicità del DNA, uno scienziato delle MIT che  dichiaro’ alla giuria che il DNA aveva lo stesso grado di certezza delle impronte digitali.

Quando la prova del DNA fece chiudere il suddetto caso della Florida, nacque il connubio tra giustizia e scienza forense (ricordiamo che la Scienza Forense e’ La scienza forense è l’applicazione di tecniche e metodologie scientifiche alle tradizionali investigazioni di carattere giudiziario).

Due anni dopo la prima condanno con una prova del DNA, fu stata eseguita la prima liberazione sempre con la prova del DNA.

Da quel lontano 1987, i casi portati alla luce e risolti dalla genetica sono stati numerosissimi.

Possiamo definire l’analisi del DNA come una lente di ingrandimento speciale degli investigatori moderni, puntata su molecole microscopiche, che permette di risolvere rebus altrimenti impossibili: il DNA, la “carta di identità” che i killer lasciano sempre sulle armi o sulla scena del crimine.

In Italia, i casi piu’ noti che hanno avuto una risoluzione o che comunque hanno avuto un notevole impulso grazie all’esame del DNA sono:

  • l’omicidio di Yara Gambirasio, che attraverso l’esame del DNA viene attribuito a Giuseppe Bossetti.
  • il delitto dell’Olgiata, che avvenne il 10 luglio 1991 in una villa in zona esclusiva di Roma, vittima una nobildonna, la contessa Alberica Filo della Torre, che aveva 42 anni. Il caso è rimasto irrisolto per circa venti anni quando la prova del DNA ha identificato il colpevole in Manuel Winston, cameriere filippino, ex-dipendente della famiglia.
  • il caso Elisa Claps che scomparve misteriosamente a Potenza il 12 settembre 1993 e il cui cadavere fu stato ritrovato 17 anni dopo, il 17 marzo 2010, nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità di Potenza. Danilo Restivo, ultimo ad aver visto la ragazza e a lungo sospettato del delitto nonostante si sia sempre detto innocente, è stato incastrato da una perizia genetica compiuta da due ufficiali del RIS.
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The Julie project. Primo premio progetti a lungo termine (21 anni)

The Julie project. Primo premio progetti a lungo termine. Per 21 anni Darcy Pradilla ha fotografo Julie e famiglia, tra povertà, droga, relazioni, nascite e morti.

Julie e Jason dopo essere stato rilasciato dal carcere per aver rubato loro bambino appena nato dall'ospedale - lo Stato teneva il bambino perchè Julie era risultato positivo per i farmaci.  San Francisco, California 2000
Julie e Jason dopo essere stato rilasciato dal carcere per aver rubato loro bambino appena nato dall’ospedale – lo Stato teneva il bambino perchè Julie era risultato positivo per i farmaci.
San Francisco, California 2000

“[…] diventare vicini e amici, anziché giornalisti.” Da un incontro fortuito e dalla volontà di documentare le conseguenze della povertà in contesti urbani è nata un’intesa che ha avuto i suoi effetti sulla vita di Julie e su quella di Darcy. Grazie a Darcy, Julie si è ricongiunta con suo padre, che non aveva smesso di cercarla per 31 anni – dal momento in cui la madre diciassettenne la portò via con sé dalla Alaska a san Francisco in seguito a una lite.

Julie con Rachael, 3 mesi, nella hall dell 'Hotel Ambassador in cui vivono a San Francisco. Sia Julie che il suo partner Jack sono HIV positivi. "Rachael ci ha dato una ragione di vita."  San Francisco,
Julie con Rachael, 3 mesi, nella hall dell ‘Hotel Ambassador in cui vivono a San Francisco. Sia Julie che il suo partner Jack sono HIV positivi. “Rachael ci ha dato una ragione di vita.”
San Francisco, California 1993

“Ho incontrato Julie il 28 gennaio 1993. Julie, 19, stava in piedi nella hall del Ambassador Hotel, a piedi nudi, i pantaloni stracciati e con un neonato di 8 anni in braccio. Ha vissuto nel quartiere SRO di San Francisco, un quartiere di mense e camere a buon mercato. La sua stanza era piena zeppa di vestiti, posacenere strapieni e spazzatura. Ha vissuto con Jack, il padre del suo primo bambino, Rachael, e che le aveva trasmesso l’HIV / AIDS. Lo lasciò qualche mese più tardi per cercare di smettere di usare droghe.

Il primo ricordo che Julie ha della madre è che beveva sempre. Ricorda di  aver subito abusi sessuali dal patrigno. È scappata a 14 ed è diventata una tossicodipendente a 15. Ha vissuto nei vicoli,  per strada in mezzo alle droghe e con gli uomini anziani più sporchi che potesse incontrare.

Per 18 anni ho fotografato la complessa storia di Julie: case diverse, AIDS, droga, relazioni, povertà, nascite, morti, perdite e riunioni/ Sempre seguendo Julie dalle strade di San Francisco fino ai boschi dell’Alaska. Uno sguardo in profondità su temi sociali che interessano tutta la società americana”.

Queste le parole di Darcy Padilla, autrice del progetto e delle foto.